ORIZZONTI

IL NATALE E LA FATICA

Le giornate scorrono e come sempre Natale arriva in fretta. Ognuno di noi vive cose diverse, chi un periodo migliore, chi vive un pò di stanchezza. Ma c’è un fenomeno che spesso ci accomuna e che non consideriamo mai abbastanza. Nella routine si creano delle dipendenze, si creano dei piccoli ricatti e delle piccole voglie che appaiono difficili da sottovalutare. C’è chi le ha di più, c’è chi quasi non sene accorga ma la reatà ci risera sempre qualche ricatto, affettivo, intellettuale o lavorativo che ci lega a sè per cui, finchè quel particoare non è ripetuto o soddisfatto la giornata risulta mancante. Mi colpisce molto, questo, soprattuto su di me. Perchè è come se tutto questo fosse la spia di un’ultima tentazione: volermi dare da solo la felicità. Mi accorgo che normalmente io non ho stima della realtà, non ho fiducia che dalle cose possa sorgere qualcosa di buono per me. E allora tutto si risolve a gioco, a vita fatta di settori e il mio bisogno umano di bene viene annegato in mille strategie. Alla fine non so se questo lo viviamo tutti ma la fatica a me fa un pò paura. Perchè io la vita vorreio gustarmela davvero, vorrei gustare il reale come purtroppo non sono capace. Io questo Natale lo aspetto. Perchè n quella grotta è come se ci fosse, alla fine, l’unica novità che mi interessa, l’unica novità che può liberarmi da tutti gli altri ricatti. Vieni, Signore Gesù.

LA CRISI E LE CRISI

Sembrano giorni difficili quell che ci avvicinano a questo Natale. India, Thailandia, Nigeria, la crisi internazionale. Il quadro si annuncia sempre più preoccupante anche se le nostre giornate, alla fine, scorrono come prima. C’è uno strano malessere che attraversa tutta la nostra società e che ci porta a parlare con superficialità o con sentimentalismo di tutte queste situazioni: è la mancanza di percezione della realtà. La realtà rischia di non avere su di noi alcun effetto per cui che le cose vadano in un modo piuttosto che in un altro sembra sia del tutto ininfluente sulla nostra vita. In questo modo il vero malessere che ci attanaglia è una certa neutralità di fronte alle cose per cui non esiste più qualcosa di oggettivamente buono o di oggettivamente cattivo. Tutto va bene, tutto è plausibile. Nella nostra giornata ci sta sentire della morte di 200 persone, della guerra in Nigeria, del colpo di stato in Thailandia. Ci sta come ci sta tutto il resto. La realtà non occupa la nostra giornata. Ma, allora, che cosa occupa davvero le nostre giornate? Il nostro io. La realtà ci interessa nella misura in cui urta con le nostre emozioni, i nostri sentimeni, le nostre priorità. Le cose non sono interessati di per se stesse, il punto è che io, alla fine della giornata, voglio essere emotivamente in ordine, voglio provare cose buone. E’ come se fra la nostra interiorità e l’esperienza oggettiva ci fosse bisogno di un ponte che le connetta, che le unisca. In mancanza di questo ponte avremo una sorta di dittatura dell’interiorità dove ciò che comanda sono i miei desideri, le mie voglie, i miei istinti e la realtà sarà interessante nella misura in cui servirà a riempire il vuoto che c’è tra quello che voglio e quello che posso. Effettivamente queste grandi crisi del nostro tempo fanno emergere con forza la grande crisi del nostro tempo. E’ la crisi dell’io, rimasto imprigionato in se stesso, in perenne lotta con una natura matrigna, dominato dal mondo interiore come da un onnivoro affamato di tutto. In tutto questo il risveglio può essere amaro, può essere tragico. Accorgerci che le cose ci sono, che la realtà esiste e mi riguarda, uscire da me, si annuncia come la sfida più interessante non solo per gli uomini di buona volontà ma, forse e soprattutto, per i cristiani che la storia ha reso maestri del bisogno umano che l’Altro ci sia e abbia a che fare con me. Non c’è niente di più umano che questo. Occorre capirlo. Prima che sia troppo tardi. Il punto è che il tempo sta per scadere. 

IL CROCEFISSO E LA STORIA

Pubblicato sul Foglio il 26 novembre 2008

Periodicamente viene annunciato un intervento legislativo teso a riportare la laicità nello stato. Notizie come quella dell’abdicazione obbligata dei crocifissi dalle scuole in Spagna rischiano un importante livello di saturazione agli occhi dell’opinione pubblica ormai cristallizzata nelle proprie opinioni. Il vero problema, oggi, non può essere quello della laicità che, comunque mette sempre in campo una visione ideologica delle cose. Parlare di laicità esclusiva o inclusiva significa partire sempre da delle concezioni dello stato e della società che implicano reciproci dogmatismi ed improbabili conflitti da dissipare. Il problema di questa modernità è quello di aver perso il contatto con l’esperienza dell’uomo, di aver diviso il modo con cui si parla della realtà dal modo con cui la si sperimenta. Messa su questo piano la questione cambia: il problema non è che fare ma prendere consapevolezza che il cristianesimo fa parte della storia di questo continente, che la modernità fa parte dell storia di questo continente. Una personalità è effettivamente matura quando è in grado di raccontare in modo coerente alla realtà la propria storia, quando con la propria storia (fatta di errori ed eroismi) si è effettivamente riconciliata, quando ha imparato a guardarla con simpatia e affetto. Il problema dell’Europa è proprio questa riconciliazione, questa serenità che la renda adeguata non a quello che di volta in volta, a seconda dell’umore politico che la domina, pensa che debba diventare ma a quello che è. Accettare se stessi, accettare quello che c’è, riconciliarsi con la propria umana avventura. Questo è il cammino che attende la civiltà europea ed ognuno di noi. Perchè questo lavoro è solo all’alba, è solo all’inizio. Come esso debba essere fatto lo dirà il tempo e le relazioni che lungo questa strada saremo capaci di intrecciare. Ci vuole onestà per non esludere niente di sè, per non cesurare niente di sè, dal modo con cui si guarda e si giudica la propria storia. E’ questa per me la laicità inclusiva. Una laicità che è soprattutto del cuore e che un giorno farà dire ad un ateo che il crocifisso, alla fine, sta bene dove sta.

 

IL VAMPIRO, LA DOMANDA E LE ATTESE

Sono stato abituato a guardare e ad interrogarmi. L’altro giorno sono andato al cinema qui a Roma. Ho visto “Twilight”, uno dei film più attesi della stagione. L’ho visto per curiosità. In sala c’erano un sacco di giovani. Tutte la platea partecipava con urla, applausi e risate allo spettacolo. La cosa mi ha molto colpito. Accanto a me una coppia che aspettava che io mi distraessi per vampirizzarsi vicendevolmente. A me il film è piaciuto. Però… però non posso fermarmi qui. Perchè questo genere di film piacciono? Perchè vanno così tanto fra i ragazzi? Perchè è piaciuto a me? Questo genere di film, come quelli di Muccino and company, stuzzicano uno dei lati più profondi di noi… Stuzzicano e fanno riemergere quell’anima ultima resente in ogni uomo che tende a identificarsi con le vicende che vede perchè specchio dei propri bisogni più profondi. Tutti abbiamo bisogno di amare e di essere amati. Il legame fra il vampiro Edward e Bella stuzzica quel bisogno che abbiamo di essere unici, oggetto unico di amore per almeno una persona al mondo. Noi non siamo fatti per la genericità, siamo fatti per la preferenza. Vogliamo essere preferiti da qualcuno, vogliamo per qualcuno essere importanti. Abbiamo bisogno dell’altro. Non per usarlo, non per possederlo (quelle sono le nostre tentazioni) ma per sentirci vivi, per sentirci reali. Solo questo essere desideratiscalda il nostro cuore. Quei giovani che urlavano durante il film, quelli che si baciavano accanto a me, esprimono tutta la solitudine e la grandezza dell’uomo occidentale che, deluso da ogni osa che possa deludere un uomo, fa quello che può. Nessuna crisi economica, nessuna svolta politica, nessun vestito o sabato sera potrà mai toglierci da addosso questo bisogno. Qualcuno chiama tutto ciò noia, problemi di cuore, sdolcinatezze, idealismo givanile. Io preferisco chiamarlo col suo vero nome: attesa.

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